Non so se vi è mai capitato di inoltrare un’istanza al comune di Angri, a me, sia come cittadino che come presidente di un’associazione, è capitato più volte. Fino a qualche tempo fa era necessario mettersi in coda presso gli uffici comunali, ed attendere il proprio turno affinché il documento venisse protocollato allo sportello dedicato; oggi la procedura è più semplice visto che è possibile inviare le istanze via PEC e ricevere in cambio una risposta con il numero di protocollo. Ma perché uno di noi deve presentare un’istanza al comune? Per molteplici e spesso ovvie ragioni. Per quel che mi riguarda, il più delle volte mi sono rivolto all’ente per questioni riguardanti l’associazione e gli eventi messi in cantiere per promuovere la cultura sul territorio.
Sono anni ormai che per mancanza di fondi il comune non sostiene più le associazioni locali e, se così vogliamo dire, si limita a concedere un “mero” patrocinio morale, consentendo, a volte, di utilizzare a titolo gratuito spazi di proprietà dell’ente.
Nulla di male, i soldi non si scavano come le patate né tantomeno si trovano sugli alberi come neanche successe a Pinocchio; di conseguenza le associazioni si sono rimboccate le maniche e, per portare avanti i loro progetti, si rivolgono ai privati che per fortuna sono ancora disposti a sostenere le attività culturali e non solo.
Però se mancano i fondi per patrocinare le opere proposte dagli enti del terzo settore, non è buona educazione evitare persino di rispondere alle istanze. Purtroppo questo succede nel nostro paese: se chiedere è cortesia, come recita il detto, rispondere è un obbligo come invece detta la legge dello stato.
Anzi, a ben interpretare la normativa, c’è addirittura un tempo da rispettare da parte dei funzionari comunali, per fornire un riscontro alle istanze che giungono al palazzo del governo cittadino, sia in caso di accoglimento che di responso negativo. Semplicemente non si può non rispondere: è contro la legge. Eppure questo avviene tante di quelle volte, che sorge il dubbio che nel palazzo posto in fondo a piazza Crocifisso, ci sia veramente qualcuno.
Credetemi in certi casi sembra che il “vento del deserto” soffi tra i corridoi e nelle stanze un tempo aduse ad ospitare solerti funzionari e titolati dirigenti. A tal proposito mi tornano in mente scenografie di vecchi film western, là dove cigolanti porte a ventola dei saloon abbandonati, fanno da sottofondo musicale ai “cespugli rotolanti” che si muovono sulle ali del polveroso vento che spazza le strade deserte di villaggi ormai disabitati.
Nei film, avvolti dalla polvere, si sfidano a duello gli ultimi pistoleri, spesso per assicurare alla legge, vivo o morto, il “wanted” di turno, da noi, nei corridoi della casa comunale, si fronteggiano pile di scartoffie in attesa di essere “evase” da nessuno, e noi restiamo in attesa di ricevere una risposta, un segno di vita, un momento di notorietà rappresentato da fatto di aver ricevuto un riscontro alla nostra istanza.
Credetemi, mi sono posto anche il problema di chiedere udienza allo sceriffo del villaggio, ma se neanche da lui dovessi ricevere un segno di vita, e questo sinceramente non penso di meritarlo, mi riterrei oltremodo defraudato dei miei diritti di cittadino, e quindi mi limito ad affidare al vento del deserto queste mie parole, speranzoso come un naufrago che consegna alla bottiglia messaggera, le sue ultime volontà.