In genere quando dobbiamo dare dei punti di riferimento per indicare dove abitiamo, risulta facile associare la nostra casa con un negozio conosciuto, un monumento o magari l’edificio dove vive una persona più nota di noi.
Quando tocca a me questa incombenza io puntualmente dico: “Dove vedi una bandiera al balcone”. Espongo quasi sempre un vessillo legato alla ringhiera del balconcino della mia cucina; già dai tempi di Italia 90, quando un paio di scavezzacolli, furono capaci di arrampicarsi su un muretto pur di strappare via la bandiera, molto grande in verità, dell’Italia. Ovviamente c’è mi chiede conto di questo comportamento ed io puntualmente snocciolo varie motivazioni; a parte che mi piacciono, il motivo più vero è che ne ho tante, di varie nazioni o organizzazioni europee e mondiali.
Colpa o merito del mio lavoro. I più curiosi oltre a voler sapere il perché della bandiera esposta, hanno la faccia tosta di chiedere conto della scelta della bandiera stessa; questo succede a causa del fatto che non espongo bandiere “canoniche” e comunque il più delle volte, all’apparenza, sembrano avulse dal momento storico, dal contesto sociale, economico e sportivo cui sono associate. Negli ultimi giorni ho rispolverato una vecchia bandiera consumata dalle intemperie ma ancora ben visibile e “significativa” nel mio immaginario personale.
Quel mattino che una volta rimossa la bandiera della Germania, sciolsi al vento il vessillo bianco con i cinque cerchi olimpici, non avevo neanche finito di “serrare” le fascette in plastica, e già un curioso matricolato ebbe da dire e da ridire: “Ma che fai? Metti la bandiera olimpica ad olimpiadi concluse?”.
Avrei voluto spiegargli il perché della mia scelta, a prima vista bizzarra ed anacronistica, poi mi sono limitato a sorridere beatamente evitando così di aprire una discussione che mi avrebbe visto soccombere facilmente; però, almeno qui, dove mi sento libero di esprimere compiutamente le mie scelte e le mie idee, qualsivoglia esse siano, un piccolo ragionamento al riguardo lo voglio proprio fare.
Il prossimo 29 di agosto, sempre a Parigi ed utilizzando parecchi spazi che sono serviti per le performances dei ben più noti e seguiti giochi olimpici, si svolgeranno i giochi paralimpici che vedranno la partecipazione di centinaia di atleti cosiddetti “diversamente abili”.
Molteplici discipline avranno come protagonisti tanti giovani che la vita “ha punito” in vari modi, vita che è quotidianamente difficile anche per chi, pur “diversamente abile”, non parteciperà mai alle paralimpiadi ma vive e “gioca” abitualmente nelle strade, sui marciapiedi, negli uffici e negli ambulatori, nei negozi e nei luoghi di conviviale ricreazione.
Esponendo la bandiera dai cinque cerchi in occasione delle paralimpiadi, mi è parso un modo per accendere un riflettore sui problemi e le difficoltà che tante persone, meno fortunate di me, sono costrette ad affrontare ancora oggi. Chi mi conosce sa con quanta veemenza e caparbietà mi sono più volte “scagliato” contro chi approfitta dei diritti di chi purtroppo vive una vita difficile; spesse volte ho stigmatizzato comportamenti ed atteggiamenti che nulla hanno a che vedere con la solidarietà ed il sostegno a chi ha bisogno di aiuto.
Ma sono innanzitutto a fianco di chi ha bisogno di un braccio cui appoggiarsi per poter muoversi in questo mondo. E ci sono tantissime altre persone che la pensano come me e che ogni giorno si rimboccano le maniche tentando di “semplificare” la vita di chi ha avuto meno fortuna. Eppure nulla cambia, a parte la bandiera esposta sul balcone di casa mia, segnale della mia attenzione e volontà di essere presente, costruttivo ed inclusivo.