Il Covid ha ripreso a correre in ogni lembo del “Bel Paese” e come una roulette russa colpisce con intensità variabile la specie umana.
In tanti pensavamo che la seconda ondata rappresentasse il lento declino dei contagi ma tra il sorgere di varianti, le riflessioni, a volte terroristiche, dei luminari della medicina, e la superficialità di una considerevole fetta degli esseri umani ci ritroviamo nuovamente a fare i conti con la preoccupazione e il numero sempre più crescente di positività.
Si invocano controlli, limitazioni e chiusure di ogni genere perché ormai la nostra “forma mentis” si è posizionata sulla medesima lunghezza d’onda di quei governatori che impongono chiusure per nascondere i fallimenti di un sistema che si è dissolto dinanzi al più grave dei problemi.
Un anno non si è rivelato utile per attuare altre misure che pur potevano contribuire a limitare i contagi perché, si accetti o meno, con il virus dovremmo imparare a conviverci.
Chiudere è semplice, fin troppo! I governanti, stavolta, sono costretti a fare i conti con l’insorgenza sociale del popolo italiano che seppur impaurito è decisamente stanco di vedersi limitare la libertà di vivere.
C’è spirito di sopravvivenza, in tanti si trascinano in un quotidiano che miete inquietudine di ogni genere e i cittadini sono spenti, tramortiti da un virus che si è instillato nel corpo e nella mente destinandoci ad una esistenza insipida.
E’ venuta a mancare quella fetta quotidiana di socializzazione che non può e non dovrebbe essere sostituita da insulsi contatti attraverso lo schermo.
Servono validi punti di riferimenti ai quali aggrapparsi per coltivare la speranza di rinascita.
Le istituzioni, siano esse politiche, scolastiche, sanitarie e amministrative, hanno fallito, hanno perso autorevolezza e credibilità nell’arco di un tempo in cui servivano decisioni tempestive e omogenee.
Siamo calati in una nuova dimensione in cui la concretezza ha necessità di prendersi il suo ruolo.