La tanto attesa conclusione delle opere di manutenzione è stata buona per riaccendere i riflettori sulla Statale 268 del Vesuvio, oggetto di discussione da diversi anni sia per la sua progettazione, rispetto alla quale tutt’oggi molti ritengono ci siano aspetti discutibili, sia per la sua realizzazione, avvenuta con ampio ritardo rispetto alle aspettative. Ad avanzare perplessità negli anni sono state soprattutto le famiglie che vivono in prossimità delle porzioni di territorio interessate dai lavori.
Il progetto della 268, infatti venne concepito negli ’60 del secolo scorso dall’Anas per i residenti dei paesi vesuviani, da un lato per smaltire il traffico e dall’altro per garantire un’ulteriore possibile via di fuga in caso di eruzione del vulcano. Il primo dubbio sollevato da molti nasce sulla persecuzione di questo secondo obiettivo, dal momento che convenzionalmente una via di fuga non aggira l’ostacolo (in questo caso il Vesuvio), piuttosto parte da esso per prolungarsi radialmente verso la direzione opposta in modo da consentire a chi scappa di allontanarsi dal pericolo nel minor tempo possibile.
Si aggiunge, poi, la polemica sui tempi: pensata negli ’60, i lavori per la costruzione della superstrada hanno inizio solo negli anni ’80 e proseguono per una decina d’anni, durante i quali viene realizzata una strada a una corsia per ogni senso di marcia, con sbocco ad Angri su Via Nazionale.
Quell’unica corsia si rivela da subito inadeguata a sostenere il traffico di comuni a così alta densità abitativa (alcuni superano le 50mila unità); da qui la prima modifica del progetto, negli anni 2000: viene aggiunta una strada che collega la zona industriale del comune di Scafati con l’innesto della SS268, in modo da smaltire con più facilità il traffico della zona. Ma non basta. Valentina Comiato