Stamattina (sette maggio n.d.r.), come del resto tutte le mattine, ho aperto la mia giornata affacciandomi al balcone che dà sulla strada. Non è un brutto modo di cominciare; mi piace guardarmi intorno, osservare ed apprezzare che c’è già molta gente indaffarata, infatti quasi tutte le imposte delle case che circondano la mia, sono aperte a testimonianza che il mondo freme di attività. L’andirivieni di auto e camion, che di norma mi disturba alquanto, a quell’ora del mattino non è ancora così intenso, contribuendo a rendere piacevole stare a braccia conserte sulla balaustra del mio “affacciatoio”.
Stamattina dunque, quasi fossi uno spettatore di un incontro di tennis, muovevo la testa da sinistra a destra e viceversa, seguendo il lento passaggio dei veicoli, finché qualcosa non ha attirato la mia attenzione: una macchia sulla strada interrompeva vistosamente il nero-lucido dell’asfalto. Ho messo a fuoco con qualche difficoltà (ormai gli anni hanno indebolito la mia vista), ed ho realizzato che quel che si vedeva era ciò che rimaneva di un animale investito non molto tempo prima.
Una chiazza rosso scuro faceva da tappeto al corpicino martoriato di qualcosa che non riuscivo a riconoscere, tanto era scomposto nella morte. Non posso dire di non essere abituato, vivo in periferia ed “incidenti” di questo genere capitano spesso; ma ogni volta mi soffermo per un attimo (o poco più) su quello che è successo, ripercorrendo con il pensiero quella che poteva essere stata la vita delle sfortunate vittime. Ho ripreso poi, le mie azioni quotidiane in preparazione all’uscita di casa.
Affrontando la rampa di scale che mi separa dalla strada, ho lanciato un altro sguardo, al luogo del misfatto e, man mano che mi avvicinavo, ho cominciato a fare congetture su che animale fosse: non era un uccello, né un cane, tantomeno un gatto. Poi ho visto i denti sporgenti dalla bocca insanguinata, il muso allungato ricoperto di baffi lunghi e lucenti, la coda inconfondibile, con quel colore che dal grigio passa al roseo della pelle glabra. Una zoccola! No, non era un topo di campagna, era proprio una pantegana proveniente da una fogna o, più verosimilmente, da un qualche cumulo di rifiuti abbandonato lungo una strada di periferia come la mia.
Per un attimo ho avuto la tentazione di prendere a calci ciò che restava del disgraziato animale, poi ho pensato bene di lasciar fare al tempo ed al traffico. All’ora di pranzo che sono rientrato, della zoccola restava un alone appena più scuro sull’asfalto e, poco più in là, una “toppa” di pelliccia color grigio topo. C’era una volta una zoccola…