Era considerato uno degli l’ultimi reduci del secondo conflitto mondiale, ma la sua figura soprattutto la sua voce, forse quella di un nonno, ci mancherà. Aveva un suo modo di raccontare un passato di guerra, narrato tra la commozione fatta di ricordi i quali saranno sempre presenti e vivi in chi lo ha conosciuto. Senza memoria nessun futuro in un incontro di qualche tempo fa, mi sussurrò: “ E chi meglio degli ultimi sopravvissuti può tramandare ai posteri quei racconti di libertà e democrazia che è stata la lotta di resistenza all’oppressione nazifascista ? “
Era la voce di questa città, il buon zio “Farchiaccone”, al secolo Ernesto D’Ambrosio, conosciuto da tutti, presente ad ogni celebrazione,cittadina (Festa della liberazione, Festa dei lavoratori, Commemorazione dei Defunti con la sua uniforme da Aviatore). Prima di parlare di quanti ci hanno lasciato, nomi importanti, che conosciamo tutti, bisognerebbe partire da qui: portare i ragazzi fuori dalle aule e mostrare le nostre montagne, come sono belle, e spiegar loro come grondavano di sangue, ai frequenti bombardamenti che investirono la nostra città durante il conflitto. Alcuni dei testimoni,quelli nati dal 1930, hanno raccontato milioni di storie vissute sulla loro pelle e zio Ernesto era uno di quelli.
Avrei voluto realizzare qualcosa ancora sulla storia di Angri, o nei racconti e magari parlare proprio con lui, ma nel suo secolo di storia, giunge difficile poter descrivere un vulcano di uomo come era lui.
Non solo la guerra gli aveva portato via commilitoni, ma anche il destino crudele si era abbattuto sulla sua famiglia. Ricordo era 1984, quando per una vacanza in Grecia, a perdere la vita per un incidente d’ auto, fu il figlio Giovanni, giovanissimo. Era con gli amici, che rimasero feriti, ma lui perse la vita.
Ci furono giorni bui nella cittadina doriana, ricordo quando arrivò la bara nella collegiata di San Giovanni, gremita all’inverosimile, immagini che fanno parte ancora oggi nella memoria di chi ha vissuto quei momenti. Di qualche anno la scomparsa di Angela la figlia per un male incurabile, sposata con Enzo, e madre di 2 figli, fu un altro duro colpo per la famiglia D’Ambrosio.
Ma il pur tenace zio Ernesto, teneva tutto dentro, un uomo che racchiuso nel suo immenso dolore andava avanti e nel raccontare la sua vita sempre attivo senza mai fermarsi. Tratteneva improbabili “conversazioni” con i passanti, o più spesso con se stesso, nel piccolo laboratorio, museo di Corso Italia, luogo in cui ci dovremmo abituare a vedere la serranda abbassata. “Addio, zio Ernesto, i racconti ora saranno più silenziosi senza di te” JeanFranck Parlati